Finalmente un bel bagno rigenerante dopo una giornata in grotta…
Dopo un viaggio Emirates (di cui dimentichiamo le lunghe pause in virtù dei ricchi spuntini ma molto meno i due atterraggi da panico…), ci ritroviamo di nuovo a casa. Un mese volato via con mille immagini da raccontare esorcizzando l’incombente stressante routine di tutti i giorni.
Visayas 2008 è stata l’ennesima spedizione speleologica in Filippine. Un’avventura totale capace di reinventarsi ogni giorno. Un viaggio diciamo esigente ma forse meno noioso di una vacanza e meno pericoloso di una luna di miele… Insomma, una spedizione speleologica vera in cerca di grotte vere.
Ripercorriamone le tappe: prima la scelta di separarci in due gruppi per verificare il potenziale speleologico della magica isola di Sibuyan. Una bella prospezione poi, frustrati dai soli 250 m di rilievo ma con la vetta del vertiginoso Guiting-guiting nel cuore, ci imbarchiamo in un rocambolesco viaggio in pumpboat (canoa a bilancieri per un totale di 9 ore in mare aperto!) per raggiungere l’isola di Masbate e quindi Samar dove presso San Rafael gli altri 5 compagni da una settimana macinavano chilometri scampando a varie piene…
Due i giorni di attività tutti insieme ma con un tempo da lupi e sifoni chiusi nella grotta più promettente (Guintoble, 3200 m e circa 180 metri di profondità) che fanno scattare il piano B, fino a quel momento pura fantasia: Guido sceso a Calbiga sfodera tutte le sue armi diplomatiche strappando a suon di National (senza filtro), Tuba (vino di cocco) e Tanduay (prelibato rum locale) un insperato permesso per entrare nel territorio di Buluan, feudo di una situazione politica delicatissima che da decenni vede contrapposta la guerriglia d’ispirazione maoista del NPA (New People Army) e l’esercito regolare. Ostacolo unico ma grave al mistero speleologico attualmente più grande delle Filippine con più di 400 km quadrati di carso e due giganteschi collettori individuati: Mactingol verso Ovest e le sorgenti del Caliga River e Guian-Bombom a Nord direzione Taft River.
Con provviste per 12 persone per 10 giorni, quattordici portatori e il supporto diplomatico di Be-beet e Pepe, arriviamo a Buluan come degli extraterrestri ma al posto dell’astronave i nostri mezzi saranno una micro-capanna sgangherata da adibirsi a campo base. Ovviamente al villaggio troviamo un’accoglienza speciale che ammortizza la mancanza di acqua, luce e wc…
La nuvoletta fantozziana intanto diventa certezza di una perturbazione ciclonica che non ci mollerà fino alla fine costringendoci a vivere nel fango con la serena accettazione tipica degli animali anfibi.
Ogni giorno al lume delle lampade a petrolio, sdraiati sul lucido assito di mogano della casa di Omar (il giovane simpaticissimo barangay Capitain) spuntano selve di nuove segnalazioni dentro le quali bisogna però sapersi orientare e concentrare le forze: un gioco difficile di traduzioni ed interpretazioni che l’indomani ora faranno gioire, ora stupire, ora incazzare. Pozzi che toppano, cenotes (con 70 metri di escursione!), tronchi di grandi gallerie, infidi inghiottitoi senz’aria ma farciti di vari Ibingan (cobra delle Filippine…): la cavità più interessante sembra Naduyan Cave, 1300 metri di gallerie concrezionatissime larghe 15 metri e un bel fiume da 200 litri. Appare chiaro che i bocconi più interessanti però si trovano molto più lontano ma ancor più chiaro era il patto secondo il quale, almeno per quest’anno, bisognava accontentarsi e rimanere nei dintorni della barangay.
Tra i migliori animali da foresta che ci accompagnano, eleggeremo loro supremo rappresentante “Mr. Ibingan Dandy”, 44 anni per 34 di foresta, ovviamente a piedi nudi. Personaggio che farebbe impallidire persino Rambo per esperienza di sopravvivenza: beve dalle liane, dorme in grotta, mangia vivi tutti gli animali che riesce a prendere e soprattutto capisce di cosa è goloso il nostro entusiasmo. Quando Dandy ci vede delusi a raschiare il fondo del barile, si mette a disposizione per accompagnarci a suo rischio e pericolo nella zona più lontana dove, ci conferma, dimorano buchi di ben altra taglia ma anche problemi assai ben proporzionati. L’ultima sparatoria, abbiamo gia scritto, dieci giorni prima…
In silenzio schiviamo i curiosi militari di stanza al villaggio e prepariamo una mission impossibile che necessariamente sarà di due-tre giorni e con pochissimi di noi. Una scelta difficile poi partiamo io, Loris e Quinto con Joni, Dandy e Ramon come guide, Pepe e Be-beet come garanzie.
Otto ore di marcia poi la foresta trema sotto i piedi. Tubig Tubig (acqua, acqua!) ma subito non vogliamo credere che quel rombo sordo sia vero. Poco lontano spunta una lunga valle chiusa con depressioni tipo trappola da formicaleone: ci caliamo in una di queste scoprendo un tratto lungo 200 m di collettore da 5-6 metri cubi al secondo! E’ ovvio che viaggiare su questi livelli è inutile oltre che pericoloso. Sifoni e corrente al limite, non si scherza! Continuo a ripetere che è meglio cercare più a monte. E come volevasi dimostrare al primo rilievo il primo mostro che sorprende anche le stesse guide. Entriamo in un dedalo di condottine che sono la porta di servizio di Tamag Doi Doi Cave rilevando in sole 8 ore 2500 metri di tubi freatici 10 x 10 disposti su 3 livelli e tagliati in ben 12 ingressi! Senza sosta il secondo giorno ancora un bell’inghiottitoio e un traforo ciclopico per altri 600 metri di rilievo: è il posto giusto ma bisogna rientrare, bisogna accontentarsi e allora soddisfatti cammineremo tutta la notte accettando nostro malgrado anche la scusa della mancanza di riso. Distrutti sempre nel fango con i piedi saponati dai calzari ci gustiamo la gioia indescrivibile di vedere materializzati i nostri sogni.
Unico flash a due passi dal Boluan Creek, appena pochi secondi dopo aver acceso la frontale quando blocco Be-beet per le spalle mentre un ibingan di due metri e mezzo gli sfila tra le gambe. Terribile ma non abbastanza veloce comunque per il machete del solito Dandy…
A Calbiga due giorni dopo ci ritroviamo anche con gli altri 7 ragazzi che coraggiosamente erano tornati a Guintoble per ultimarne rilievo ed esplorazioni senza nulla potere contro la maledizione di 5 giorni di pioggia incessante.
Ok, spedizione finita. Ora godiamoci qualche decina di San Miguel gelate, del buon pesce, gli show del muto e un ultimo giro a Langun a rifarsi il concetto di infinito nella sala da 300 m o all’ingresso da 110…
Godiamoci questo finale con tutta calma perché poi scesi dalla aereo resteranno solo gli abbracci dei meravigliosi compagni, il trofeo dei quindici chilometri di esplorazioni ma soprattutto la sensazione di aver creato le basi per la prossima avventura.
Ancora una volta non solo speleologica.
Un grazie sincero a chiunque se ne sia appassionato.
Dedicato a Giacomo per sempre con noi.
Matteo “Pota” Rivadossi e, in ordine geriatrico- speleologico, Guido “Erode” Rossi, Claudio “Gnaro” Castegnati, Quinto “Orientamento Lento” Quaresima, Massimo “Frizzi” Benini, Loris “Lollo” Santalmasi, Rok “Rocco Siffredi” Stopar, Andrea “Andreino” Zambaldi, Iacopo “Pino” Adami e Simona “Trilly” (o Trillo?) Marioti.