“Ma lo sai che tra noi due sei tu la bambina?” Inizia così questo sabato rubato ai miei bimbi, con uno splendido complimento della mia socia di sempre. Come se avessi dubbi!
Terry è venuta a prendermi stamattina, pippandosi 40 km in più di strada perchè anche lei sa cosa significa avere bisogno di stare sotto terra ed io, dopo ormai venti giorni dall’incidente, sono ancora appiedata.
Felicissime incontriamo il Don e proseguiamo verso Serle, su quei tornanti agli altri cosi’ familiari eppure per me nuovi: in realtà da Nuvolento non ero mai salita.
In un attimo siamo pronti; eccoci davanti all’ingresso di Papà Omber, in una tiepida giornata di dicembre, con il sole che s’intrufola tra le foglie secche degli alberi.
Mi guardo intorno e penso che è straordinario come questo bosco ogni volta riesca ad apparirmi diverso e allo stesso tempo familiare.
Mi brillano gli occhi. Adrenalina che sale. Via.
Ed ecco che ritrovo i miei posti, i passaggi, il cancello: spettacolo strisciare li dentro. Non vedevo l’ora.
E in un attimo siamo in Sala -230. Il Don fa stare davanti me, così che impari bene la strada.
Io sono euforica e vado, con un sorriso ebete stampato sul viso sporco di fango.
Guardo Terry, e anche i suoi occhi brillano…ci capiamo.
Proseguiamo velocemente e in un attimo siamo ai piedi del p.50. Veloce calcolo sui tempi per l’uscita: saluto i ragazzi che proseguono verso Dune: i miei bambini mi aspettano per fare i biscotti per Santa Lucia, non posso tardare!
3,2,1…via l’ansia e parto!
Qualche attimo di tremarella sulla corda del 50, poi prendo sicurezza e ogni dubbio svanisce, come se non potessi essere da nessun altra parte se non qui, appesa a questa corda, nel buio dei miei pensieri, in un’introspezione infinita.
Durante la discesa avevo quasi paura di potermi perdere tornando da sola e invece li vedo lì, come stampati nella testa: ogni passaggio mi aspetta e man mano, uno a uno, li cancello mentalmente.
Sto bene, anzi non potrei star meglio. Rido, continuo a ridere dentro, sono così felice che vorrei che la grotta non finisse così in fretta.
Spreco un po all’inizio del Gran Canyon ma proprio perchè per me quel posto psicologicamente è spaventoso, mentre in realtà non presenta difficolta’ che non abbia già affrontato altrove.
Quando la vedo non ci credo e mi siedo senza neanche pensarci: dopo quasi due anni di speleologia anch’ io mi siedo per la prima volta sulla Poltrona del Regista.
Guardo l’ora, sono in perfetto orario: ormai sono fuori mi dico. Posso anche permettermi di avere un po di musica nelle orecchie, così Vasco mi accompanga lungo gli ultimi pozzi che mi separano dall’aria aperta.
Non ho fretta di uscire; so che una volta fuori sarà tutto diverso: la percezione di ciò che ti circonda cambia, l’introspezione e la miriade di pensieri si confonde, gli automatismi che metti in atto quando sei in grotta da sola non sono gli stessi…
Quando sento il profuno del bosco non mi pare vero di essere già lì, esco e guardo l’ora: due ore esatte. Non l’avrei mai detto. Ora devo solo cambiarmi, lasciare l’attrezzatura al Ruchì e trovare il sentiero di casa: è già, l’avventura non è finita!
Stamattina Milù mi ha spiegato quale sentiero seguire ma, tra il suo dialetto a me incomprensibile e la sua splendida età, diciamocelo: non ho capito niente… quindi parto, contenta e ottimista, confidando più nel mio pseudo senso dell’orientamento che in altro.
Dopo tre quarti d’ora di cammino mi sento un po’ come un cagnolino che fa il triplo della strada che fai tu, tante sono le volte che vado avanti e indietro.
Mi guardo attorno, osservando questo bosco così diverso dalla mia Val Listrea e apprezzo i rami caduti, le foglie che scricchiolano ad ogni passo. Non c’è nessuno, neanche qui, solo io tra i profumi del muschio ed il vento gelido che ad ogni passo mi fa rabbrividire. Purtroppo di sole qui ne arriva un gran poco, ma lo vedo: sta’ scendendo dietro al Monte Dragone.
Arrivando da un sentierino secondario penso:”Ecco ora mi sono persa”: l’unico segnale che ho trovato indica da un lato Cariadeghe e dall’altro il Monte Ucia! E Nave?
Salgo un pezzo in direzione dell’ Ucia: forse da lì riuscirò a veder casa. Nebbia totale. Neanche ll telefono vuol saperne di darmi un segnale. Mi guardo intorno, senza perdere la calma (incredibile, ma vero), e provo a far funzionare quell’unico neurone che mi gira in testa. Anche se c’è nebbia, li sotto c’è per forza Nave: devo trovare un sentiero che scende a valle. Finalmente lo trovo, ma ovviamente non è segnato per nulla! Lo imbocco ugualmente e dopo una decina di minuti di discesa inizio a veder i segni di cui mi aveva parlato Milù. Evvai ce l’ho fatta!
Sentiero infinito e molto ripido, che scende con le placche rocciose da un lato ed il pendio dall’altro. Dal balcone di casa mia le ho guardate un milione di volte queste placche!
Alle quattro sbuco dietro la Chiesa della Mitria.
Così, per caso, mi sono trovata a fare questo splendido giro. Posti familiari, sensazioni ogni volta uniche. Emozioni, emozioni forti. Emozioni da vivere, da raccontare.
Chiara