Ho aspettato forse troppo a scrivere questo report finale, tanto che ora è lievitato a racconto breve. Ma volevo farlo a bocce ferme, fuori da quella bolla di delirio esplorativo in cui abbiamo vissuto un mese semplicemente indimenticabile. Troppo intenso, per essere compresso in poche righe: agli intrepidi quindi, buona lettura!
Una brutale sintesi numerica racconterebbe dei 18,7 Km di esplorazione di cui 16,8 rilevati da 5 disperati e marcanti visita a turno, in soli 22 giorni di attività svolta tra il 16 marzo ed il 17 aprile. Risultato che, ancora una volta, si colloca tra i massimi mai raggiunti da speleo italiani all’estero.
Ma Samar 2023 è stato molto di più di un mero bottino esplorativo quanto un’appassionante avventura che ho condiviso con dei compagni d’eccezione. Come l’inaffondabile geologo Guido Rossi (Gangialf), il fraterno Stefano Lillo Panizzon, la quota rosa nonché mascotte – nonché quinto uomo – Teresa Lecchi (Peppa), l’amico sloveno Matiaz Bozic (il diversamente speleo) e, per buona parte, anche con gli amici filippini Joni Bonifacio e Daryl Comagon.
Dopo la classica no-stop che inanella volo internazionale, notte a Manila e volo su Tacloban con i successivi 150 km di furgone fino alla lontana caotica Catbalogan, i primi giorni non sono stati certo facili. Passati tra la topaia del Rosengarden Hotel e la casa campo base di Joni, ad acquistare ed insaccare cibo e materiali in un’asfissiante calura sotto il peso dei dubbi circa una zona carsica completamente nuova. In città condivideremo mango shake e presentazioni ufficiali presso il surreale DERN con gli amici francesi capitanati da Paul Marcel, anch’essi a Samar per un’altra spedizione.
Lunedì 20 marzo, al quinto giorno di viaggio, è finalmente azione: stipati in un van della speranza, siamo arrivati alla fine della strada in piena notte cercando Mabini, anonima barangay posta ad una decina di metri sul livello del mare nell’entroterra di Basey, cittadina nel sud di Samar famosa per il suo celeberrimo Sohoton Natural Bridge e relativo parco naturale. Qui la proverbiale ospitalità filippina ha compiuto il miracolo di sistemare cinque stranieri ed un filippino stracarichi di materiale nella lussuosa saletta comunale. In un attimo il buio, il peso dei sacchi e lo stress di mesi sono svaniti davanti a vari litri di San Miguel. Mentre i racconti delle mama caves a 20 minuti dal villaggio, spuntate già dai primi racconti, ci catapultavano nell’avventura vera.
E l’indomani non potevamo che iniziare col botto, purtroppo senza Guido e Joni, costretti ad un ennesimo yo-yo di 300 Km per sbrogliare il groviglio dei permessi civili e militari, tutt’altro che effettivi… Proprio passeggiando attorno a Mabini, a soli 6-700 metri in linea d’aria dal breve ma celeberrimo traforo di Sohoton, già meta turistica naturale più famosa di Samar, nei primi 5 giorni abbiamo esplorato l’enorme sistema di Bugasan Cave: oltre 5 km di gallerie percorse dall’omonimo fiume con portate in magra fino 7-8 metri cubi al secondo! Persi urlando nelle sue gallerie, per lo più attive e larghe fino a 30 metri, siamo riusciti a perdere la parola al cospetto di tanti incredibili lucernari come la meravigliosa sala di Games of Thrones o la sorgente incantata addirittura navigabile dal mare!
Da avvincente romanzo speleo è ancora vivida l’emozione della giunzione con Hubasan Cave effettuata passando dal suo Cenote attraverso un minuscolo duck chiusosi un’ora dopo! Ci siamo collegati al tenebroso sifone terminale del complesso sbucando tra enormi tronchi e paure per poi scoprire al ritorno il suo grande delta sotterraneo uscendo alla luce della sorgente principale! Senza parole, chiudendo gli occhi come ad imprimersi quegli spettacoli nella memoria. Mentre vagavamo nei suoi vuoti lottando per l’equilibrio tra fango, guano e le lame affilate, mentre si nuotava contro corrente, perdendoci nei saloni o cercando di non annegare nei passaggi semi-sifonanti.
Difficile spiegarsi un labirinto di simili dimensioni del tutto epidermico contenuto in 50-70, massimo 100 metri di copertura, la cui sorgente è praticamente sul livello del mare e a due passi dagli unici turisti di Samar! Ancor più assurdo aver percorso oltre 5 km quando la distanza in carta tra perdita e risorgenza era giusto 500 metri!
Ma la cosa più strana notata in Bugasan è stato il suo funzionamento idraulico, costituito da varie difluenze interne che in magra facilitano sì la progressione portandosi via gran parte dei 7-8 metri cubi ma che, in caso di un ben che minimo aumento di portata, sono pronte a riversare la portata originale, accresciuta di varie volte, direttamente nel tratto principale! Una trappola mortale che mai avevo incontrato.
Le segnalazioni di altre grotte nel frattempo non tardano ad arrivare: lungo il poderoso Bugasan River, più a monte del complesso, veniamo condotti al cospetto di due differenti spettacolari trafori con portali alti 50 metri e larghi fino a 40, tunnel contenenti a loro volta due differenti traversate affluenti lunghe 500 e 1000 metri.
La cavità più lontana con oltre di 3 ore di avvicinamento si è rivelata anche la più colossale: Manaba Cave, un segmento fossile di soli 500 metri ma dalle dimensioni XXL e concrezioni da calendario. Quasi sicuramente un relitto del vicino Sohoton River.
L’attività attorno a Mabini è continuata frenetica per ben 10 giorni. La guida Romolo, calatosi in una professionalità da intellettuale giapponese, ha snocciolato target giornalieri da un chilometro costringendoci agli straordinari tanto amati: sveglia all’alba, colazione con caffè, riso, pollo o maiale, da una a tre ore di marcia, 2-3 grotte da esplorare, rientro, cena, stesura rilievi e copia foto e dati, report da inviare in Italia e qualche ora di sonno prima di ricominciare da capo. “Dateci oggi il nostro chilometro quotidiano…” era il nostro mantra.
La cosa assurda è che, arrivati a quel punto, belli spremuti da 10 Km di rilievo nonostante febbri, tagli e suture, abbiamo dovuto organizzarci per il campo in foresta verso gli obbiettivi principali. In pratica la spedizione vera e propria doveva ancora cominciare!
All’alba del 2 aprile abbiamo lasciato molto malvolentieri il lusso di Mabini con 30 chili sulle spalle, 4 portatori ed un bufalo; sudando per varie ore attraverso sentieri, trincee da carabao, guadi e foresta fitta fino alla remota e sguarnita Romeo Farm dove piantare la nostra tenda.
Solo qui uno stranito Mike, il terzo filippino aggiuntosi da un giorno, dopo un avvicinamento con cappellino e casco indosso, ci salutava molto prudentemente valutando che il campo non possedeva nemmeno gli standard filippini…
Il pomeriggio stesso dell’arrivo a Romeo Farm, con una nuova guida proveniente dal villaggio di Bagti, abbiamo esplorato la sorprendente risorgenza di Teipoporog, affluente del Bugasan River: quasi 2 km di grande forra ventosa risalendo il fino ad un enorme salone in cui si getta una cascata di una ventina di metri sul nero basalto. Certamente scalabile, ma non in quella occasione, visto la topografia infinita che ci aspettava con un laborioso rientro notturno. Per di più i local sembrava conoscessero il relativo ingresso alto che scopriremo coincidere con il primo dei nove inghiottitoi segnati sulla carta da Guido.
Accompagnati dal simpatico Illuminado, cacciatore di Bagti, i giorni seguenti, lottando a turno ancora con la febbre fino a trovarsi in un caso con una squadra da sole due persone, sarà un susseguirsi di chilometrate di grotte fossili come Iyo Cave dove dovremo camminare su spiagge di pisoliti o le tenebrose risorgive in cui nuotare per centinaia di metri come Maangit Cave (Grotta della puzza di guano…) fino a sbucare alla base di un colossale sotano profondo ben 150 metri. Il più grande ingresso mai visto in una quindicina di spedizioni in Filippine! Un volume da qualche milione di metri cubi la cui luce, per assurdo, è stata clamorosamente scambiata da Guido per quella di un ingressino secondario alla fine di una stretta e concrezionata diramazione esplorata due gironi prima dalla Iyo Cave…
Nel frattempo, già orfani di Daryl e Joni (quindi degli unici traduttori!), ci lasciavano anche Lillo (che doveva rientrare una settimana prima) e Guido febbricitante. Al campo rimarremo presto solo io, Terry, Matjaz e il nostro cuoco, raggiunti da varie guide che si alternavano giornalmente.
Un altro colpaccio è arrivato proprio a questo punto con l’esplorazione dell’inghiottitoio di Teipoporog alla quale non voleva mancare nemmeno Matjaz, affidatosi a ben tre tachipirina 1000 mg dopo la febbre a 40,5° avuta poche ore prima! Un duro avvicinamento di due ore poi ancora mezz’ora lungo il fiume omonimo fino al crollo dell’ingresso. Da un enorme salone (circa 100 metri per 50 di larghezza), siamo arrivati sul collettore e quindi al bordo di una cascata che evidentemente non era quella alla base della quale ci siamo fermati entrando dalla sorgente. Nel vento e nella corrente ho messo il primo di vari spit a mano tra concrezione e basalto con le nostre tre guide affacciate impotenti mentre noi scendevamo nella nebbia buia tra i flutti.
Dalla prima C20 una rapida poi una C25 inclinata a cui seguiva una impressionante C45, tutte sul nero basalto. La sensazione vivida di essere risucchiati da quegli ambienti, da Papuasia più che da Filippine. Le corde scarseggiavano al punto che, in un paio di occasioni, abbiamo dovuto toglierle per usarle più sotto… Ma possibile dover scendere così tanto, ci siamo chiesti? Dubbi, tensione e qualche azzardo in un fragore assordante e nebulizzato quasi schizofrenico.
E’ stato con sollievo che sul bordo dell’ultima C20 abbiamo riconosciuto il salone raggiunto dal basso. Ci rimanevano giusto 30 metri di kevlar da 5 mm per poterla scendere gridando giunzione. Poi laggiù in tre ci siamo abbracciati in un altro ricordo per sempre.
Un ultimo giorno con l’esplorazione di alcuni segmenti attivi nei dintorni del campo di Romeo Farm ha chiuso dei giochi ormai al limite per le nostre forze. Permettendoci però di capire qualcosa in più di della complessa idrografia sotterranea esplorata. Ma è stato soprattutto grazie alle improbabili mappe discusse con i local e alle loro indicazioni che abbiamo avuto la conferma del grande inghiottitoio numero 9 (non raggiunto perché posto molto più a monte del grande sotano) come inizio del nostro Bugasan River, asse idrografico di tutta la regione. “Next time!”, ci ripetiamo con gli occhi lucidi.
Impacchettato tutto, l’indomani 8 aprile il rientro a Mabini, alle birre e al wi-fi sfiorando un nubifragio cattivo da 24 ore di pioggia continua che ha portato il fiume a lambire la nostra cucina. Ciò nonostante nei due giorni successivi daremo fondo alla nostra migliore abnegazione, facendoci accompagnare ad altre grotte incuranti di fango e piene. L’importante fossero “dako”, cioè grandi…
Il destino di finire all’ingresso Ibingan del complesso di Bugasan Cave, ci ha permesso di aggiungere altri 500 metri lungo un tranquillo affluente, appena al riparo degli spaventosi 30 metri cubi secondo che scorrevano sotto di noi.
Quale momento migliore per lasciare anche Mabini? Ormai il livello di piena ed il meteo capriccioso non avrebbero permesso granché, oltre ai rassicuranti 17 km esplorati! Abbracciammo così un Romolo commosso per la maglietta di spedizione, i porter, la barangay capitain e tutti i consiglieri giurando loro di tornare a breve. Assistendo ancora una volta alla magia di condividere un’amicizia fraterna mentre la mattina del 10 aprile le moto stracariche dei nostri sacconi ci portavano via, direzione Catbalogan.
Con Guido impegnato assieme a Paul Marcel e Joni nella conferenza con il DERN a Tacloban 100 km più a sud, io, Terry e Matjaz ci regaleremo gli ultimi due giorni pieni di attività nella zona di Lobo Cave. Ancora 1500 metri quasi equamente divisi in tre traversate attive incredibilmente scappate nella spedizione del 2006 tra i campi di ananas ed i fiumi carsici. Quel 12 aprile, giurando che quello sarebbe stato davvero l’ultimo chilometro, abbiamo deposto disto, corde e velleità. Anche se l’avventura vera, quella sarebbe finita solo a Manila, sopravvissuti alle rocambolesche ed imperdibili 24 ore di autobus e traghetto…
Concludendo: dopo la fortunata spedizione sempre italo-slovena del 2017 in cui tornammo con una giunzione da 32 km e 15 km nuovi (di cui 3,5 subacquei firmati Simon Burja), fare di meglio sembrava impossibile. Eppure questi 18,7 Km di esplorato in una zona completamente nuova e per di più in cinque solamente, beh ha avuto davvero degli effetti allucinogeni…
Amici prima che speleo affiatati, abbiamo tenuto la testa bassa godendoci una meritata fortunosa serie di coincidenze, dal meteo alle segnalazioni. A turno abbiamo avuto febbre ed altri problemini ma non ci siamo persi d’animo. Abbiamo lavorato con il cuore perché 12 ore al giorno di attività fisica per 25 giorni di seguito altrimenti non sarebbero stati nemmeno immaginabili. Solo una sorta di missione ha potuto giustificare tanta caparbietà.
Anche il tifo dall’Italia, quest’anno particolarmente vicino grazie alla tecnologia, ci ha aiutato: mentre stendevamo le topografie di fiumi chilometrici, inviando in tempo reale le foto di quelle gallerie spaziali, ci siamo addirittura sbudellati in video-chiamata per la scoperta dell’oro blu in Cariadeghe! Un altro buon motivo per continuare a vivere lontani dalla miseria di titoloni e bollinate da dolinatori seriali, vergognosamente spacciate per nuove tecniche esplorative. Miserabili.
Con i suoi fiumi scavati nel vuoto, Samar 2023 è stata l’ennesima avventura geografica vera. Una speleologia vissuta in un contesto naturalistico unico, fatta di sogni diventati topografie come sempre solo grazie alle persone speciali che ci hanno ospitato ed accompagnato.
A distanza di mesi, è ancora difficile spiegarne l’appagamento per aver scoperto addirittura una nuova regione pur spizzicandola a bocconi. Se non con la consapevolezza di aver lasciato i presupposti per la prossima spedizione.
Restano là i nostri sogni, quegli inghiottitoi numerati dal saggio Gangialf sulla carta del formaggio come una consunta mappa del tesoro.
Matteo pota Rivadossi
Samar 2023, dedicata all’amico Marjan Vilhar, sempre nei nostri cuori.