L’amicizia profonda che lega i nostri due gruppi alla fine ha giustamente prevalso su ogni forma di campanilismo e così volentieri abbiamo accettato l’invito del Gruppo Speleologico Malo a partecipare ad una punta nell’Abisso del Corno di Campo Bianco.
Sabato scorso siamo partiti da Brescia in cinque (Ba, Matteo, Frizzi, Mauri ed io) per unirci ad una decina Malesi (si dirà così?). Il buon numero di speleologi radunatosi al bivacco Tre Fontane, sotto il Corno di Campo Bianco (m 2044), ha permesso di formare quattro squadre: una al fondo con l’intento di scendere, il pozzone inesplorato, la seconda a -400 per esplorare il “ramo fossile con vento” tralasciato dalle punte precedenti, una squadra da rilievo e l’ultima da disostruzione con lo scopo di rendere un po’ meno antipatica la diaclasi iniziale che dalla base del pozzo d’accesso porta a -200.
Unica preoccupazione è la quantità di acqua che troveremo in grotta, visto il lungo periodo piovoso.
Ho l’onore di far parte della squadra fondo col compito più alettante insieme a Pota Rivadossi, al Pierga (due presidenti in un colpo solo) e all’altro Matteo (di Malo). Noi bresciani non sappiamo nulla sulla morfologia della grotta di cui varchiamo l’ingresso all’una di Sabato pomeriggio e nulla ci è stato detto. Meglio, così non ci siamo costruiti nessun inutile modello mentale.
Sul primo pozzo l’acqua percola già abbondante lungo le pareti ed è un brutto segno. La stretta diaclasi è una lunga, inesorabile doccia gelata e quando non ti viene sulla testa o nelle maniche, l’acqua l’assorbi come una spugna dalle pareti: un vero atto masochistico. Il lungo meandro seguente anche se asciutto non ti consola ed i brividi di freddo non tardano a venire. Poco prima del fondo storico (-360 circa) si intercetta una galleria in giunto di strato, il suo falso “a monte” stranamente non fu visto dai primi esploratori e rappresenta la chiave delle nuove fantastiche esplorazioni. Poco oltre si intercetta un bel pozzo-camino: è il primo accesso al ramo attivo che porta al fondo. Dall’alto scende parecchia acqua e per limitare i danni tendiamo una tirolese per raggiungere la prosecuzione della galleria. Purtroppo non basta ad evitarci una secchiata direttamente sulla faccia.
In breve scendiamo alcune fessure che portano ad intercettare nuovamente il ramo attivo del fondo. L’acqua per fortuna si perde presto in uno stretto approfondimento ma non esultiamo a lungo: un angusto, tormentato e fangoso laminatoio ci “sollazza” per una cinquantina di metri. Alla fine di questo ulteriore supplizio la grotta cambia finalmente aspetto: è il bivio a -400. Da questo punto due strade vanno in discesa: una porta al ramo attivo esplorato fino a -620, l’altra è fossile ed inesplorata.
Ci rendiamo conto che scendere pozzi sotto cascata, con la quantità d’acqua presente è un rischio sciocco ed inutile, meglio aspettare tempi migliori, quindi optiamo per attrezzare i pozzi fossili inesplorati. Scesa una breve verticale in un ambiente di crollo ci fermiamo per riposare e rifocillarci in attesa della seconda squadra.
I compagni tardano ad arrivare, pensiamo che, viste le condizioni della grotta, forse hanno optato per un saggio dietrofront. I nostri brividi di freddo che non ci hanno mai abbandonati a questo punto invece sono diventati insopportabili: dobbiamo muoverci. L’esplorazione prosegue in un stretto ed alto meandro, su e giù alla ricerca del punto più agevole. Attrezziamo qualche passaggio un po’ pericoloso e dopo circa duecento metri intercettiamo un salto profondo una decina di metri, di fronte si distingue la naturale prosecuzione del ramo. Alla base del pozzo tre condottine confluiscono in una marmitta inesorabilmente ostruita. Non c’è più aria qui, è tutta sopra. Risaliti alla sommità della verticale Matteo si esibisce in una delle sue solite performance e con un solo fix vola oltre il traverso da10 metri. Oltre un ulteriore slargo di crollo il meandro prosegue ma per raggiungere una sezione umanamente transitabile occorre arrampicarsi per qualche faticoso metro. Proseguiamo ancora per un’altra cinquantina di metri, oltre l’ennesima strettoia un brutale restringimento della sezione sembra mettere la parola fine alle nostre velleità esplorative.
– Gianni vieni col martello che tu ci passi – urla Matteo – togliti tutto – Ciò che mi si para davanti è una strettissima fessura costellata di lame e spuntoni che ne riducono ulteriormente la larghezza. Il martello d’armo canta allegramente e scalfisce appena la roccia. Matteo mi esorta a modo suo a tentare. Provo di testa ma è inutile il casco non passa, allora provo di piedi, il bacino va ma il torace no, d’improvviso avverto un dolore, acuto: la resistenza di qualche costa è messa a dura prova da una lama. Forzo con la spalla per uscire e la lama si muove un po’, esco e la prendo a scarponate, faccio leva col martello… niente da fare. Prova Matteo con gli stessi metodi e alla lunga ne ha la meglio: la lama si scalza e gli pesta per bene una mano. A questo punto per me è quasi facile passare la strettoia ma qualche metro più avanti, dopo un modestro slargo la fessura si chiude definitivamente per collasso. La neotettonica ci ha beffati!
Al ritorno, al traverso incrociamo Frizzi e la seconda squadra che pensando ci servissero corde ce ne ha generosamente portate alcune. Nella saletta di crollo troviamo Comparin che ha desistito con il rilievo topografico per il troppo freddo. I malesi cucinano tortellini in brodo… che libidine! I brividi che puntualmente ritornano sono il segnale che bisogna partire, ora ci aspetta una lenta risalita con impietosa inzuppata finale su per la diaclasi… che goduria!
E’ l’alba quando Frizzi ed io per primi usciamo, marci, infreddoliti come non mi accadeva da non so quanto tempo, e, dopo aver litigato con i mughi, la stufa dell’accogliente rifugio è la cosa più bella che si potesse desiderare in questa situazione. La squadra disostruttori (uscita ore prima dopo aver fatto quello che poteva in quelle condizioni) e Laura, la moglie del Pierga, ci accolgono col te caldo. Nel frattempo lentamente, uno dopo l’altro, escono tutti gli altri.
I primi raggi di sole ci colgono pigri ed assonnati ciondolare sull’erba attorno al rifugio tra tute ed atrezzi stesi, finché il profumo della pastasciutta di Laura meravigliosamente ci cattura…
Grazie agli amici vicentini per la generosa accoglienza, alla prossima!
Gianni Garbelli