Casa mia a Nave, mercoledì 6 maggio ore 4:03
Dopo ben 50 ore ininterrotte di viaggio, ieri in mattinata finalmente siamo arrivati a casa. La prima scommessa è stata lasciare Barruz: emotivamente per lacrime ed abbracci non facili tra mamma, papà, ragazze e ragazzi della grande famiglia Calagos che si è allargata per noi. E tecnicamente, perché dopo 3 giorni di pioggia non era affatto scontato che il camion vincesse quel fango assurdo. Due ore di Camel Trophy fino a Gandara seduti su cocchi, bobole di gas e sponde assassine…
Da lì altre 2 ore di multicab fino a Catbalogan dove a casa di Joni ci ritroviamo con Gigi, Claudio e Benji partiti il giorno prima per sistemare il materiale sub a Calbiga. Pranzo perfetto a base di lechon (maialetto arrosto tipo sardo) e gamberetti con la chicca della telecronaca delle prime 6 riprese del macth di Paquiaio, più eroe nazionale filippino che pugile…
Ciao Joni, ciao Zar, un grazie immenso! Sotto una pioggia torrenziale ricarichiamo tutto su un altro van poi via verso Calbiga. La strada è lucida, gli autisti meno: davanti a noi un Toyota uguale si ribalta con almeno 25 persone dentro.
A Calbiga ovviamente altra tappa per caricare tutto il resto del carico. Come riescano starci 500 kg e 8 persone in un van è segreto di spedizione…
Altre 2 ore di poi all’aeroporto di Tacloban ingoiate volentieri pregustando cena e seratona a Manila… E così sarebbe andata se Air Asia, oltre che fotterci a soldi del biglietto, ci avesse gentilmente comunicato che almeno fino al 10 maggio non avrebbe avuto voli! Di domenica sera tra inermi guardie giurate e mute segreterie telefoniche inutile sclerare. Non ci resta che una soluzione per non perdere anche il volo internazionale: correre al bus terminal e noleggiare un van sperando di metterci qualche ora in meno delle 24 del pullman! Altrimenti ciao…
Un viaggio del genere, con un autista solo alla guida che dovrà farsi 900km in un ventina d’ore, traghetto compreso, siamo tutti d’accordo: è un bel rischio. Dai, comunque le gomme non sono proprio sulle tele e l’autista cocainomane, mezzo pinoy (filippino) e mezzo americano, a questo punto può essere solo una garanzia!
Iniziano ore di sobbalzi, di sorpassi, sgranocchiando malvagi crackers al cioccolato. Non vi dico cosa proviamo ripassando da Gandara mollata 10 ore prima, panulay ka!
Alle 2 di mattina sbarchiamo dal traghetto sull’isola di Luzon: dai, da qui mancheranno solo una dozzina d’ore!
All’ennesimo boato una gomma cede. Giù tutto il materiale a cercare la ruota di scorta. Peccato sia vuota! Un vucanizador che stallona con mazza e piedi è per miracolo a soli 100 metri…
Lungo la strada contornata da risaie, foreste e capanne, si alternano sidecar, cani, bambini: un’angoscia terribile vederne uno a terra sull’altra corsia con il fratellino che tentava di sollevarlo. Anche questo fa parte del gioco? Non è possibile, mi ripeto in una tristezza impotente.
Il van tira dritto ancora per ore. Con un bel vantaggio sulla media, il traffico di alcune città ci sblocca completamente. Poi a singhiozzo la vista dei grattacieli di Manila che appare come un miraggio: il driver ormai è uno zombi crollato in dirittura d’arrivo. Io e Pirlo, che gli abbiamo fatto la guardia tutta notte, ricorriamo allora ai pizzicotti: sbiascica che è tutto ok, tranne per il fatto che non potrà arrivare proprio in aeroporto per il blocco del traffico a targhe alterne. Cosa a Manila? Ok my friend, mollaci almeno il più vicino possibile, sparici ma appena puoi dormi! Ed è allora con piacere che travasiamo tutto su due taxi per arrivare giusto giusti all’apertura del ceck-in. Ormai siamo arrivati: alla fine di SAMAR 2015 manca solo una ventina d’ore Banali.
A presto il resoconto finale.
Matteo Pota Rivadossi